Antidepressivi e rischio di suicidio
Secondo uno studio pubblicato sul British Medical Journal (1) il rischio di aggressioni e suicidi a seguito della prescrizione di farmaci antidepressivi sui minori sarebbe molto più alto di quanto dichiarato dalle aziende farmaceutiche. L’uso di antidepressivi su minori è una triste vicenda americana esportata con fin troppa faciloneria anche in Europa. Negli USA si prescrivono antidepressivi a minori per i più disparati motivi, alcuni veramente non accettabili. Anche in Italia si può osservare la prescrizione troppo disinvolta di antidepressivi fuori delle limitate indicazioni mediche, per le quali sono stati validati questi farmaci. Questo avviene nonostante siano stati riportati casi di morte, suicidio e violenza fra coloro che assumono questi psicofarmaci. La problematica è altrettando presente tra adulti anche se impressiona maggiormente, come bambini e anziani siano maggiormente esposti e indifesi. Gli antidepressivi dovrebbero essere utilizzati solo all’interno di limitate situazioni clliniche e sotto sorveglianza medica. Un uso improprio su persone indifese e fuori di indicazione validate dalla vera ricerca è ben oltre che deprecabile. Persino la FDA Food and Drug Administration, era arrivata a segnalare casi di suicidio legati all’uso di antidepressivi in giovani e adulti, ma il rischio è di fatto sottostimato.
Un gruppo di scienziati danesi del Nordic Cochrane Centre ha esaminato la correlazione tra casi di morte e di violenza associati agli antidepressivi nella bibliografia scientifica. Il team si è procurato i report degli studi clinici per i farmaci più commerciali nella depressione dalle agenzie regolatorie britanniche ed europee e ha sottoposto a revisione sistematica 68 report di studi clinici di 70 trials che coinvolgevano 18.526 pazienti. I risultati sono impressionanti. Nei bambini, il rischio di suicidio e aggressione risulta raddoppiato rispetto a quanto sostenuto fino ad oggi, e comparando i risultati degli studi clinici e i dati riportati dai pazienti stessi, si è dimostrato che morte e suicidi di persone che utilizzavano farmaci per la depressione sono stati classificati in passato in modo intenzionalmente errato dalle aziende farmaceutiche. Alcune aziende hanno omesso di segnalare i tentativi di suicidio, mentre altre non hanno riportato casi di morte direttamente legati all’uso di questi farmaci e infine i tentati suicidi sono stati “degradati” a “fragilità emotiva” e “peggioramento della depressione”. Lo studio pubblicato non evidenzia soltanto i pericoli ben maggiori connessi all’uso di antidepressivi, ma sopratutto la totale assenza di etica delle aziende farmaceutiche e dei ricercatori da loro finanziati.
La scienza e la medicina basata sui farmaci evidenziano spesso una relazione difficile e talvolta impossibile. Appare necessario prima di accettare un risultato validato dalla scienza, ricercare in modo investigativo da dove provenivano i finanziamenti di tale ricerca. Una ricerca finanziata o influenzata dalle aziende farmaceutiche non può essere accettata fino al momento in cui i risultato siano confermati da ricercatori indipendenti. Gli autori dello studio consigliano nel trattamento della depressione, specie dei bambini, la psicoterapia, la nutrizione, lo stile di vita e l’esercizio fisico ogni qual volta ciò sia possibile. Essi aggiungono che i report degli gli studi clinici per la commercializzazione dei farmaci sottostimano dolosamente l’entità dei danni relativi, chiedendosi inoltre quanti altri effetti collaterali o avversi non siano stati rilevati e esposti dalle aziende farmaceutiche. La terapia proposta ai pazienti utilizza inoltre troppo facilmente farmaci fuori delle corrette indicazioni mediche e su base di dati scientifici talvolta manipolati. Conoscere i pericoli e le indicazioni dei farmaci consente ai pazienti di minimizzare quando e se possibile il loro impatto sulla salute. La qualità di vita dipende ogni giorno di più dalla capacità culturale del singolo soggetto per riconoscere, quando egli è esposto ad un uso eccessivo di farmaci, consentendogli un minimo di autodifesa.
(1) lo studio è pubblicato sul BMJ a questa URL: http://www.bmj.com/content/352/bmj.i65