Naledi: una altra ipotesi sull’origine umana

Naledi: una altra ipotesi sull’origine umana

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La recente scoperta in Sudafrica di un antenato umano denominato Homo Naledi apre ad una necessaria revisione delle conoscenze sulla evoluzione umana. Due studi, pubblicati sulla rivista eLife, descrivono l’ominide e il luogo di ritrovamento, ma non è ancora certa invece la datazione dei reperti. Si tratta di antenati molto simili all’uomo moderno, ma con un cervello decisamente più piccolo. La mano e soprattutto il polso e il palmo dell’Homo Naledi appaiono moderni. Anche il piede somiglia a quello dell’Homo Sapiens. Si presuppone che l’Homo Naledi pesasse 40-55 kg e non arrivasse a 1,5 metri di altezza e che avesse la capacità della stazione eretta. Il cranio nonostante un volume piccolo è strutturalmente simile a quelli dell’ Homo sapiens per l’arretramento del morso. Queste caratteristiche osservate contrastano con tutte le precedenti ipotesi sulla linea evolutiva umana.

I reperti sono da riferire a una quindicina di individui trovati in una grotta sotterranea, la Dinaledi, posta a trenta metri di profondità, che può essere raggiunta percorrendo uno stretto cunicolo che la collega a una serie di altre grotte. Non è chiaro come gli ominidi siano arrivati fin a tale luogo. Secondo i ricercatori però i resti non sono stati portati da predatori, né il sito contiene scheletri di animali grandi trascinati dall’acqua. Questo farebbe ipotizzare che gli ominidi abbiano percorso intenzionalmente tutti i cunicoli, un comportamento decisamente avanzato per un essere con modesta capacità cerebrale. Per percorrere tutta la strada verso il luogo di ritrovamento l’Homo Naledi avrebbe dovuto disporre di attrezzature e almeno di illuminazione. L’ipotesi avanzata che il sito del ritrovamento fosse un luogo di sepoltura contrasta con le conoscenze di quando nella evoluzione di una sistema nervoso, il comportamento di seppellire i propri morti possa essere comparso. Certamente una sepoltura in un luogo tanto difficile da raggiungere non è una ipotesi credibile, a meno che non si voglia attribuire ad un essere più evoluto la sepoltura degli Homo Naledi. Decisamente in linea con tutte queste notevoli contraddizioni, i ricercatori non hanno datato i fossili, consentendo ai paleontologi una cauta attesa sui significati da dare al ritrovamento.
L‘Homo Naledi determina una crisi di alcuni assiomi sulla evoluzione umana e sulle conseguenti implicazioni nel campo della medicina. L’ Homo Naledi impone una revisione delle relazioni ritenute fino ad ora valide tra volume del cervello e abilità. Altrettanto degno di revisione è l’idea di una evoluzione che procede con molte varianti verso l’homo sapiens. La linea evolutiva verso l’essere umano diventa complessa, perchè le caratteristiche dell’homo sapiens appaiono certamente una miscela di possibilità a lui precedenti, ma non allineate. L’unica ipotesi che spiega queste osservazioni è quella della una manipolazione genetica piuttosto che della spontanea evoluzione.
 
Questa ipotesi è di notevole interesse nel campo della medicina  perchè spiegherebbe la fragilità nella salute dell’ uomo moderno, non riscontrata nei mammiferi di provenienza. Anche la violenza che caratterizza il comportamento dell’essere umano non trova spiegazioni evolutive, ma sarebbe comprensibile se l’homo sapiens fosse un ibrido, piuttosto che una culminante biologica. Nella evoluzione spontanea le varianti denotate da violenza inutile sono generalmente eliminate dalla selezione perchè eccessivamente dispersive di energia e risorse. Se invece l’uomo moderno fosse un ibrido, si spiegherebbe anche come abbia potuto eludere questa naturale eliminazione dovuta alla selezione naturale. L’Homo Naledi potrebbe rispondere a questi inquietanti interrogati e tutti ci aspettiamo che tali informazioni possano essere condivise.
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